Nel giorno in cui la Corte europea dei diritti dell’uomo ha accolto il ricorso di 182 donne e uomini pugliesi aprendo un procedimento contro lo Stato italiano – l’accusa è di non aver protetto la salute dei cittadini – per l’inquinamento prodotto dall’Ilva di Taranto, attorno al mondo dell’acciaio italiano si sono mosse anche buone notizie. Il Corriere della Sera riferisce che nel bresciano – dove l’industria siderurgica ha impianti e una lunga tradizione – avanza l’ipotesi di un tavolo di lavoro per il riciclo dei rifiuti speciali prodotti dalle acciaierie durante la loro attività produttiva, un tavolo che riunisca la Provincia, la Regione, l’Arpa e il consorzio Ramet.
Ad oggi, le 24 imprese riunite nel consorzio hanno già centrato obiettivi di rilievo sotto il profilo ambientale: come documentato anche sulle nostre pagine, è stato implementato un programma per la riduzione delle emissioni dei loro impianti, verso valori di riferimento più bassi rispetto a quelli imposti per legge: in particolare, l’obiettivo è ridurre del 50% le polveri emesse (da 10 a 5 milligrammi per m3) e abbattere dell’80% le diossine (da 0,5 a 0,1 nanogrammi per m3).
Adesso a muoversi è un’altra delle gambe fondamentali della sostenibilità, ovvero quella legata alla gestione dei flussi di materia. Anche le acciaierie più evolute e meno impattanti da questo punto di vista, ovvero quelle dotate di forno elettrico – che rappresenta a sua volta un vero e proprio impianto di riciclo – hanno un rapporto prodotto-scarto a 1 contro 0,15-0,20, ovvero per ogni milione di tonnellate di acciaio prodotto risultano anche 150-200mila tonnellate di loppe e scorie da riciclare o inertizzare in sicurezza.
È quanto propongono ora a Brescia, con Pietro Garbarino, da trent’anni iscritto a Legambiente (cura il Centro di azione giuridica dell’associazione per Brescia e province limitrofe) in prima fila per promuovere l’iniziativa, che guarda al riciclo dei rifiuti speciali per reimpiegare in modo sostenibile il materiale risultante come sottofondo stradale al posto dei materiali vergini. Una versione bresciana di quanto anche a Piombino, in Toscana, si tenta di fare da 17 anni con il progetto Tap, oggi rielaborato e concretamente in rampa di lancio con il progetto Rimateria.
A Strasburgo la giustizia farà il suo corso, ma per dare futuro e un volto sostenibile all’industria dell’acciaio italiano una cosa è certa: non la chiusura degli impianti ma bonifiche e green economy sono l’unica strada percorribile.
Scrivi commento