Ormai solo un mese e mezzo ci separa dall’appuntamento referendario con la riforma costituzionale, fissato per il prossimo 4 dicembre. Il surriscaldato dibattito pubblico ha ormai prodotto due distinte tifoserie, spaccate tra le accuse di una deriva autoritaria da parte del governo (i No) e l’incrollabile certezza di aver a portata di mano la panacea ai mali italiani (i Sì).
Dal nostro piccolo e remoto osservatorio non pare di scorgere nessuna delle due opzioni. Come recentemente evidenziato anche dal Financial times in un suo editoriale – Matteo Renzi’s reforms are a constitutional bridge to nowhere (Le riforme di Matteo Renzi sono un ponte costituzionale verso il nulla, ndr)– non sembra che la scarsa produttività legislativa sia il principale problema italiano: di anno in anno, notano dal quotidiano britannico, il parlamento italiano approva già più leggi di quello francese, tedesco, britannico o statunitense. Da orgogliosi padri del moderno diritto esercitiamo in Italia con troppa disinvoltura il potere legislativo, e non da ieri: come notava Tacito poco meno di duemila anni fa, Corruptissima repubblica plurimae leges. Ovvero, le leggi abbondano nelle repubbliche più corrotte. E come non ha potuto fare a meno di notare il costituzionalista Michele Ainis, ogni italiano «è alle prese con 40 mila leggi statali e regionali, nonché – secondo le stime più prudenti – 60 mila regolamenti governativi». Qualcosa vorrà dire.
Abbattere il bicameralismo perfetto, pur con tutti i suoi (innumerevoli) difetti, è la mossa più adatta per frenare questa tendenza alla bulimia legislativa? In caso di vittoria del Sì il risultato sarà non la cancellazione del Senato, ma il popolarlo di figure politiche di cui non è ancora chiaro il processo di selezione e nomina. Per poi comunque ribadire (art. 1) che il Senato «concorre all’esercizio della funzione legislativa» e che quindi (art. 70) la «funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere».
La riforma costituzionale appare in primo luogo malamente scritta, non autoritaria. Semmai confusa, quando il principale difetto nelle leggi italiane risulta proprio la mancanza di chiarezza normativa. Lo stesso si può dire per quella parte della riforma che va a rivedere profondamente le competenze nazionali in materia d’ambiente, concentrando a livello nazionale alcuni poteri oggi presenti a livello locale – con alcuni effetti che potrebbero essere di per sé positivi, come sottolinea l’esperto di Diritto dell’ambiente Giacomo Nicolucci – ma anche in questo caso senza incidere in meccanismi che possano dare un corso chiaro e propositivo all’iniziativa legislativa.
Come chiedono all’unanimità rappresentanti del mondo industriale e ambientalisti, per lo sviluppo dell’economia verde nel Paese occorrono norme chiare e precise da (fare) rispettare. Meno leggi dunque, scritte meglio. Fattori determinanti sui quali però l’attuale riforma costituzionale non incide, nell’apparente indifferenza di entrambi gli schieramenti: per il Sì come per il No.
di Luca Aterini
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