L'ISOLAMENTO forzato di merci e persone all'arrivo nei porti, noto come quarantena, nel XIV secolo aiutò a limitare la diffusione della peste in Europa. Un rimedio che la globalizzazione ha reso inefficace: le polveri sottili superano montagne e oceani, provocando ogni anno milioni di morti premature anche in regioni molto lontane dalla loro emissione.
A sostenerlo, uno studio pubblicato sulla rivista "Nature" dai ricercatori di quattordici istituti di ricerca americani, cinesi ed europei i quali hanno stimato l'incidenza di distrubi cardiovascolari, infarti, tumori ai polmoni e altre patologie respiratorie croniche in 228 paesi, correlandole con la concentrazione e i principali modelli diffusione in atmosfera delle polveri sottili (PM2.5).
Gli autori hanno stimato che, delle 3.45 milioni di morti premature da PM2,5 avvenute nel 2007, il 12% erano dovute a emissioni prodotte in una differente regione del globo mentre il 22% erano associate alla produzione di beni e servizi consumati altrove. Il fenomeno è particolarmente evidente nelle aree poste sottovento rispetto ai grandi siti produttivi.
In cima alla lista c'è la Cina, le cui emissioni hanno causato più del doppio del numero di decessi di qualunque altro Paese: 64.800, di cui 30,900 tra Giappone e Corea e 3.100 tra Stati Uniti ed Europa. Il gigante asiatico risulta al primo posto pure per le vittime associate alla produzione di beni di consumo destinati ai mercati occidentali: nel 2007 furono oltre 108.600 le morti premature.
Gli autori suggeriscono che la riduzione dei costi della filiera produttiva rappresenta un doppio affare per il consumatore finale poiché permette inoltre di ridurre il tributo di vite umane associato, scaricandolo sui paesi in via di sviluppo dove la legislazione ambientale è più permissiva.
"Il nostro studio indica che il trasporto a lunga distanza delle polveri sottili ha conseguenze significative sulla salute di intere regioni" spiega Dabo Guan, professore di Economia del Cambiamento Climatico presso l'Università dell'Anglia Orientale. "Il commercio internazionale sta globalizzando la mortalità legata all'inquinamento atmosferico, consentendo che i beni siano prodotti e consumati in regioni fisiciamente distinte".
Per contrastare la fuga delle aziende in paesi con minore sensibilità ambientale, e migliorare la qualità del'aria, potrebbe risultare efficace l'istituzione di politiche regionali per regolare la qualità dell'aria, imponendo un prezzo sulle emissioni inquinanti.
Secondo i ricercatori, il miglioramento delle tecnologie di controllo dell'inquinamento in Cina e in India avrebbe un enorme beneficio per la salute dei cittadini di tutto il pianeta: la cooperazione internazionale per sostenere la riduzione dell'inquinamento e ridurre le emissioni legate al commercio internazionale dovrebbe trovare posto nell'agenda delle Nazioni Unite.
Scrivi commento