È stato il ministro dell’Economia Padoan, aprendo a Bari il G7 finanziario presieduto dall’Italia, a ricordare oggi che «senza inclusione sociale la crescita non si sostiene», senza però aggiungere che forse anche per questo l’Italia – dove negli ultimi vent’anni la disuguaglianza nella distribuzione dei è cresciuta più che in ogni altro Paese Ocse – è il Paese dove il Pil cresce meno di tutta Europa, come evidenziato ieri dalla Commissione Ue. Non di solo Pil vive però l’uomo, e anche nella nostra iper-tecnologica modernità la prima fonte di ricchezza rimane la natura: solo lei rimane in grado di fornire il cibo di cui ci nutriamo, l’acqua che beviamo e l’aria che respiriamo, per non parlare di tutto l’incredibile spettro di materie prime che dall’Età della pietra in avanti hanno permesso all’essere umano di progredire.
Di questa straordinaria ricchezza da cui dipende la nostra stessa vita non è però stata fatta menzione al G7 pugliese. Ci sarà forse tempo per farlo in una seconda occasione, al G7 ambientale che si terrà il prossimo mese a Bologna. Quel che è certo è che ieri il primo e fondamentale rapporto sul capitale naturale italiano è stato finalmente pubblicato dal ministero dell’Ambiente, dopo essere stato annunciato come pronto oltre due mesi fa. A redigerlo è stato il Comitato per il capitale naturale, composto da nove ministeri, cinque istituzioni di ricerca pubbliche, Regioni, Comuni e nove esperti scientifici tra cui Gianfranco Bologna, direttore scientifico del Wwf Italia e storica firma di greenreport.
Nel documento si affronta il legame tra lo stato dell’ecosistema, il benessere sociale e le prospettive economiche facendo perno appunto sul capitale naturale, ovvero “l’intero stock di beni naturali – organismi viventi, aria, acqua, suolo e risorse geologiche – che forniscono beni e servizi di valore, diretto o indiretto, per l’uomo e che sono necessari per la sopravvivenza dell’ambiente stesso da cui sono generati”. Non si tratta dunque di “mercificare” la natura, ma di riconoscerle un valore che consenta di affiancare al capitale investito, al capitale umano e al capitale sociale, anche il quarto capitale, quello troppo spesso trascurato: il capitale naturale, appunto.
Un testo che nella storia della politica ambientale italiana rimarrà una pietra miliare, ma sul quale al momento è bene non farsi troppe illusioni. «Conoscere il capitale naturale dell’Italia e il suo stato di salute è fondamentale», si legge all’interno del documento, eppure «nonostante la disponibilità di importanti basi informative, c’è ancora molto da fare per poter giungere ad una stima affidabile ed esaustiva». Quello appena partorito è dunque un primo tentativo, cui dare – si spera – potente seguito.
Dall’analisi – evidenzia il ministero dell’Ambiente – emerge che l’Italia è uno dei paesi più ricchi di biodiversità, con 6.700 specie di flora vascolare e oltre 58.000 faunistiche, ma che sono molti i fattori di pressione antropica: tra questi i cambiamenti climatici, l’inquinamento, i rifiuti, il consumo di suolo e l’abusivismo edilizio, gli incendi dei boschi e la perdita di biodiversità marina, l’invasione delle specie aliene, lo spreco di acqua, la copertura artificiale del suolo che determina distruzione del paesaggio.
Per avere un’idea della ricchezza che queste minacce stanno mettendo concretamente a rischio, è utile mettere in evidenza una prima stima di cosa rappresenti il capitale naturale italiano: «Il valore complessivo stimato per i servizi ecosistemici in Italia riferito all’anno 2015 è pari – riporta il rapporto – a 338 miliardi di euro, che rappresenta circa il 23% del Pil italiano nel medesimo anno». Per un raffronto in termini economici basti pensare a quanto speso nello stesso anno dallo Stato in interessi sul debito pubblico, ovvero 70 miliardi di euro; in termini assoluti è invece bene non dimenticare che a un default economico il Paese potrebbe (malamente) sopravvivere, ma senza capitale naturale a vincere sarebbe soltanto la morte.
«Il capitale naturale non può continuare ad essere ‘invisibile’ per i modelli economici – spiega al proposito Gianfranco Bologna – Così è stato fino ad oggi ma deve essere considerato fondamentale per l’umanità; ecco perché oggi si cerca di individuare le modalità per “mettere in conto” la natura, cercare di fornirgli un ‘valore’. Questo valore non deve e non può essere individuato solo in termini “monetari” perché i valori delle strutture, dei processi, delle funzioni e dei servizi dei sistemi naturali vanno ben oltre ogni possibilità economica di mera rendicontazione monetaria. Ora è molto importante che questo cambiamento di approccio rispetto alle risorse naturali non resti solo sulla carta me che diventi una regola della programmazione economica».
di Luca Aterini
http://www.greenreport.it/news/economia-ecologica/primo-rapporto-sul-capitale-naturale-ditalia-fonte-invisibile-ricchezza-vita/