«Il Mar Mediterraneo è una delle regioni più soggette all’aumento delle temperature e alla riduzione delle precipitazioni, dove gli effetti del global warming si manifestano più rapidamente che negli oceani, anche perché i tempi di ricambio delle acque sono relativamente brevi rispetto a quelli di un oceano». A spiegare quanto sta succedendo è Katrin Schroeder, ricercatrice dell’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche di Venezia (Ismar-Cnr), che ha coordinato due studi internazionali nel merito pubblicati sulla rivista Scientific reports e rilanciati oggi dall’Arpat.
«Il Mediterraneo – dettaglia la ricercatrice – può essere assimilato a una macchina che importa acqua superficiale poco salata e di bassa densità dall’Atlantico, e la trasforma al suo interno mediante processi complessi che coinvolgono la produzione di acque più calde e salate, poi esportate verso l’Atlantico, dalle profondità dello Stretto di Gibilterra».
Come spiegano dall’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana, questo significa che nel Canale di Sicilia il flusso d’acqua proveniente dai due bacini si dispone su due livelli: l’acqua di origine atlantica, meno salata e più leggera, occupa lo strato superficiale e si muove verso est, mentre quella intermedia generata dall’intensa evaporazione nella regione orientale, più pesante, si muove verso il bacino occidentale nello strato inferiore.
«Le proprietà fisiche dell’acqua intermedia determinano quantità, temperatura e salinità dell’acqua profonda generata nel Mediterraneo nord-occidentale – argomenta Schroeder – Queste due ultime caratteristiche del livello profondo sono molto stabili e sono sempre state considerate un importante punto di riferimento per quantificare ogni minimo effetto dei cambiamenti climatici. Consideriamo che per circa mezzo secolo il loro contenuto salino e di calore è aumentato gradualmente, mentre dal 2005 questi parametri stanno crescendo a velocità doppia rispetto al periodo 1960-2005. Da allora si parla di transizione del Mediterraneo occidentale, un periodo di eventi di formazione di grossi volumi di acqua profonda particolarmente calda e salata, che ha segnato l’inizio di un drastico mutamento nella struttura degli strati intermedi e profondi del bacino occidentale. Questi dati suggeriscono quindi una veloce transizione verso un nuovo equilibrio che si riverbera sull’ecosistema marino profondo».
Un fenomeno che si è già tradotto in effetti tangibili sul Mare Nostrum: «Nel Mediterraneo – osserva la ricercatrice – l’evaporazione è predominante rispetto alle precipitazioni e agli apporti fluviali e, nel bacino orientale, siccità e temperature hanno recentemente raggiunto livelli record rispetto agli ultimi 500 anni».
Non c’è dunque da stupirsi se, come comunicato da un altro ricercatore Cnr – Michele Brunetti – il mese di agosto che ci ha appena lasciato sia stato il terzo più caldo per l’Italia dal 1800, con un’anomalia pari a 2,53 °C sopra la media del periodo. Come già informano da tempo i dati prodotti dall’Ispra, il nostro Paese è più esposto della media globale agli effetti dei cambiamenti climatici, non certo solo d’estate: come certificato dall’Ispra, nel 2016 in media l’anomalia di temperatura sulla terraferma a livello globale è stata di +1.31 °C rispetto al valore normale nel periodo 1961-1990, mentre nel nostro Paese il riscaldamento climatico è arrivato a +1.35 °C. Eppure, le emissioni di gas serra italiane sono tornate a salire.
FONTE: http://www.greenreport.it/news/clima/riscaldamento-globale-infiamma-mediterraneo-cnr-mai-cosi-500-anni/