I numeri sono sorprendenti: 13,5 miliardi e una potenza di 13,4 GW. A questo equivalgono gli investimenti italiani nelle rinnovabili nel 2017, secondo i dati contenuti nella nuova edizione del Rapporto Annuale Irex, think tank italiano di riferimento per l’industria delle rinnovabili.
Sono cifre notevoli, che segnalano una crescita netta se si pensa che nel 2016 si parlava di 6, 8 GW. L’aumento di valore è dell’87%.
Il rapporto Irex, curato da Althesys, ha registrato nel 2017 oltre 200 operazioni, con i nuovi progetti come parte principale. Ma nonostante il 55% di queste operazioni sia in Italia, l’88% della potenza è all’estero.
Ma perché le società italiane di rinnovabili investono all’estero? C’è bisogno di maggior sostegno, anche a livello normativo? Sembra evidente che i governi che si sono succeduti finora avrebbero potuto sostenere di più l’intero settore.
Quindi una buona notizia che si ferma a metà, o meglio che spinge a riflettere su quanto ancora c’è da fare, come spiega l’economista Alessandro Marangoni, capo del team di ricerca e CEO di Althesys: «I numeri sono un segno di vitalità e competitività delle nostre imprese, ma anche della necessità di tornare a investire in Italia».
Le nuove iniziative nazionali sono in ripresa rispetto al 2016, con 1,1 GW (400 MW l’anno precedente) e quasi 1, 4 miliardi di euro, ma non è sufficiente. Gli obiettivi del 2030 sono importanti e di questo passo irraggiungibili.
Per Marangoni non ci sono dubbi: «In Italia ci sono stati investimenti molto importanti, tuttavia se andiamo avanti con i ritmi degli ultimi due o tre anni non arriveremo agli obiettivi del 2030. Sono necessari interventi di stimolo e policy per accelerare». L’economista sottolinea l’urgenza di una prospettiva più ampia: «Bisogna avere condizioni per dei contratti di lungo periodo, i cosiddetti PPA, che permettano di investire in un settore fortemente capital intensive. E poi è necessario lavorare sull’adeguatezza del sistema, e quindi investire sugli accumuli, anche quelli più innovativi come le batterie».
La tecnologia prevalente è il fotovoltaico con il 44%, seguito dall’eolico con il 20% e dalla Smart Energy che registra il 12%. Il mercato secondario degli impianti in Italia, si è dimostrato anche nel 2017 molto attivo, con oltre 1.140 MW scambiati, dei quali il 48% eolici e il 42% fotovoltaici.
C’è poi un settore molto importante, quello del rinnovamento degli impianti, che pesa solo per l’1% delle operazioni ma che comunque evidenzia una possibilità di rilancio del settore.
Per quanto riguarda i costi, eolico e fotovoltaico in Europa sono ancora in discesa, con il costo medio dell’elettricità (LCOE) dell’eolico di 44,2 euro per MWh, lievemente meno rispetto al 2016, cosa che assicura buoni ritorni degli investimenti in quasi tutti i Paesi.
Di grande interesse la parte del rapporto che riguarda il sistema elettrico e le possibili criticità nel 2030. Mentre infatti nel breve periodo, cioè nel 2025, non sembrerebbero esserci difficoltà, è molto probabile che ne emergano nel medio e lungo periodo, 2030-2040, anche in vista dell’invecchiamento del parco termoelettrico e degli scenari estivi. Il sistema rischia di divenire inadeguato a soddisfare i bisogni, motivo per il quale è necessario pensare concretamente agli accumuli.
È proprio nei sistemi di accumulo, batterie e pompaggi, oltre che nel rinnovamento del parco termoelettrico, che urge aumentare gli investimenti.
Accumuli e digitalizzazione: grazie al loro progresso in futuro anche i piccoli impianti dei privati cittadini possono diventare attivi nel sistema e contribuire al fabbisogno energetico generale. Marangoni sottolinea l’importanza di questa evoluzione degli impianti di piccola taglia: «Il fotovoltaico abbinato agli accumuli e all’evoluzione della digitalizzazione sarà fondamentale. Nel momento in cui anche questi piccoli impianti saranno dotati di internet of things, diventeranno gestibili anche su altre dimensioni. Chiaramente l’evoluzione deve essere contemporaneamente normativa e tecnologica».
Sono dati, quelli del rapporto Irex, che aiutano a capire come sia necessario attuare in concreto la Strategia Energetica Nazionale attraverso gli strumenti giusti. Oltre all’ancora atteso decreto per il periodo 2018-2020, c’è da lavorare sulle misure per il rinnovamento degli impianti esistenti, il cosiddetto capacity market e i contratti di lungo periodo.
di Valentina Gentile
FONTE: http://www.lastampa.it/2018/04/21/scienza/rinnovabili-boom-di-investimenti-italiani-ma-le-imprese-vanno-allestero-2N3MBng9101LxILOtBKuvJ/pagina.html?lgut=1