Non è ancora certo e non lo sarà per giorni il numero dei morti, feriti e dispersi per l’ultimo sisma che ha colpito l’Indonesia. Le stime sono in salita a Sulawesi centrale, nell’ordine di diverse centinaia, e le autorità locali ancora non riescono a tracciare un bilancio di un terremoto, con uno tsunami al seguito, di maggior entità rispetto al sisma di Yogyakarta del 2006 (6,4 di magnitudo Richter), e il recente terremoto di Lombok (7.0) in agosto. Quello che ha colpito la reggenza di Donggala, e in particolare la città di Palu, è stato di 7.7.
L’epicentro, a soli dieci chilometri di profondità, viene localizzato a Nordest di Palu, nel cuore di Sulawesi, un’isola che ha la forma di una gallina e che, all’inizio del lungo «collo», non misura in larghezza forse nemmeno 30 chilometri. La sequenza del sisma inizia venerdì pomeriggio alle due ora di Giacarta con una scossa di magnitudo 6 che uccide almeno una decina di persone. Poi, tre ore più tardi, arriva la scossa di magnitudo 7,7. L’agenzia di meteorologia, climatologia e geofisica (Bmkg) – spiega la stampa locale – aveva emesso, dopo il primo forte terremoto, l’allarme tsunami poi stranamente revocato e ora oggetto di polemica.
La scossa principale, che dura solo 10 secondi, viene avvertita in tutta l’area sino a Poso (luogo tristemente famoso per una serie di scontri comunitari violentissimi) a circa 100 chilometri da Palu in linea d’aria.
La scossa – forse sostenuta da una scia sismica – muove il mare. Si alzano onde alte diversi metri: chi dice sino a tre. E si dirigono su Palu, una città di 350mila abitanti che si trova all’interno di una sorta di lungo fiordo dove il mare si comprime ed entra in città con straordinaria violenza. Fotografie e video iniziano a girare sui social: la marea di acqua, fango e detriti spazza la città e travolge baracche ed edifici inondando una moschea la cui cupola si siede su se stessa. Altre strutture collassano: uno shopping mall e il famoso ponte di Ponulele. E con loro praticamente tutta la rete elettrica, con conseguente isolamento dell’intera zona. Ma il sisma non sembra aver provocato grandi crolli se non in qualche struttura.
È il mare il vero assassino: la sua forza travolge auto, case, imbarcazioni, persone. Come nello tsunami del 26 dicembre del 2004. Allora la marea di fango che si spinse dall’India allo Sri Lanka fin alle coste africane, fece il danno maggiore in Indonesia, nell’isola di Sumatra, in quello che è finora ricordato come uno dei più grandi disastri naturali della storia e il più assetato di vittime del secolo: oltre 200 mila morti di cui circa 50 mila in Indonesia. Come in guerra. Allora però c’erano migliaia di turisti sulle coste dell’Asia. La copertura mediatica fu imponente e così l’opera di ricostruzione con una corsa solidale aiutata dalle emittenti tv che riprendevano i turisti in fuga.
A guardar la mappa dei terremoti che ogni giorno serpeggiano nel mondo, fin nei confini italiani, c’è da impressionarsi. È una lunghissima ininterrotta frequenza di scosse ma con valori della Scala Richter – che ne misurano l’intensità – che raramente superano i due punti. Quello che ha colpito Sulawesi centrale, l’antica Celebes, nel cuore dell’arcipelago delle 16 mila isole, è stato però di 7.7. Fortissimo.
In Indonesia, il vasto mondo insulare appoggiato sulla Ring of Fire – l’Anello di Fuoco, un’area a ferro di cavallo di 40 mila chilometri nel bacino dell’oceano Pacifico che è associata a una serie quasi continua di trincee oceaniche, archi e cinghie vulcaniche e al movimento delle placche – indica un movimento sismico ininterrotto. Con per finire un evento che questa volta è stato davvero pesante. La Bmkg di Palu ha reso noto che la regione è stata colpita da 30 terremoti ogni giorno negli ultimi quattro mesi causati da cambiamenti nella faglia di Palu-Koro, che si estende da Poso alle acque della reggenza di Tolitoli e si dirama verso la faglia di Matano nelle Sulawesi meridionali.
FONTE: https://ilmanifesto.it/indonesia-forte-terremoto-con-tsunami-fa-400-vittime/