Pubblicato il Rapporto della Commissione EAT-Lancet che colma lacune e fornisce le prove scientifiche sui fabbisogni nutrizionali umani, nonché i livelli di sostenibilità, indicando nella dieta mediterranea di “Creta” il modello più vicino alla proposta di “dieta planetaria”.
Possiamo nutrire una futura popolazione di 10 miliardi di persone con una dieta sana entro i confini planetari?
Per rispondere a questa domanda, la Commissione EAT-Lancet su Food, Planet, Health, sostenuta economicamente dalla coppia di filantropi norvegesi Petter e Gunhild Stordalen, ha riunito 37 dei principali esperti mondiali di nutrizione e sostenibilità (ne fa parte anche l’italiano Francesco Branca, ex ricercatore dell’Inran e ora Direttore del Dipartimento di nutrizione per la salute e lo sviluppo dell’OMS) che, per la prima volta, propongono obiettivi scientifici per quel che riguarda una dieta sana in un sistema alimentare sostenibile.
Il Rapporto “Food in the Anthropocene”, per la cui redazione sono occorsi più di 2 anni, è pubblicato su The Lancet Medical Journal ed è stato ufficialmente presentato oggi (17 gennaio 2018) ad Oslo dai due co-Presidenti della Commissione, che sono anche due personalità di spicco del mondo accademico e della ricerca:
– Johan Rockström (Direttore dell’Istituto di Potsdam per la ricerca sull’impatto climatico e Direttore del Centro di resilienza di Stoccolma), conosciuto soprattutto per la sua teoria del planetary boundaries, i nove sistemi biogeochimici del Pianeta con relative soglie di rischio da non superare, pena la sua destabilizzazione;
– Walter Willett (Università di Harvard – Dipartimento di Epidemiologia e Nutrizione), senza dubbio il più famoso nutrizionista del mondo, che collaborato al famoso “Healthly Eating Plate” la guida per una sana alimentazione.
La produzione alimentare è responsabile di un terzo di tutte le emissioni di gas serra ed è il maggior imputato per la perdita della biodiversità e di esaurimento delle risorse idriche, impattando pesantemente sul nostro Pianeta. Al contempo, le cattive abitudini a tavola provocano rischi più alti per la salute di tabacco, sesso non protetto e alcol tutti insieme, mentre la denutrizione affligge tuttora molte popolazioni.
“La produzione alimentare globale minaccia la stabilità climatica e la resilienza degli ecosistemi – ha sottolineato il Prof. Rockström –Costituisce il principale fattore di degrado ambientale e supera i confini planetari, con risultati terribili. È urgente una trasformazione radicale del sistema alimentare globale. Senza azione, il mondo rischia di non riuscire a raggiungere gli obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite e quelli per il clima dell’Accordo di Parigi”.
L’assenza di consenso scientifico e le lacune esistenti in materia di conoscenze, oltre alle resistenze delle lobby agro-alimentari, hanno finora rallentato le azioni di Governi, Imprese e Società civile che, consapevoli dei rischi a cui si va incontro, vorrebbero adottare modelli alimentari più sostenibili.
Ora, la Commissione ha colmato le lacune e ha fornito le prove scientifiche sui fabbisogni nutrizionali umani, nonché i livelli sostenibili di impatto ambientale derivanti dalla produzione alimentare, chiarendo i rapporti tra cibo, salute e sostenibilità ambientale e fornendo i pezzi chiave mancanti del puzzle per la trasformazione del sistema alimentare.
“La transizione verso diete salutari entro il 2050 richiederà sostanziali cambiamenti dietetici – ha affermato il Prof. Willet – Il consumo globale di frutta, verdura, noci e legumi dovrà raddoppiare, e il consumo di alimenti come carne rossa e zucchero dovrà essere ridotto di più del 50%. Una dieta ricca di alimenti a base vegetale e con meno alimenti di origine animale permette di migliorale sia la salute umana sia di apportare benefici ambientali”.
La “Planetary Health Diet” prevede l’assunzione di 2.500 chilocalorie al giorno che, in una gamma flessibile, si traducono approssimativamente in: 230 grammi di cereali integrali; 500 di frutta e verdura; 250 di latticini; 14 di carni (bovine o suine o ovine); 29 di pollo;13 di uova; 28 di pesce; 75 di legumi; 50 di noci; 31 di zuccheri (aggiunti e non). Condimento consigliato gli oli vegetali, extravergine di oliva o colza. Oltre a cambiare i consumi, devono essere ridotti gli sprechi alimentari del 50%, gli autori fissano obiettivi-limite nell’utilizzo di terra, acqua e nutrienti per la produzione agricola sostenibile, e indicano una grande varietà di aree di intervento per raggiungere questi risultati, coinvolgendo governi, industrie e società, come ad esempio l’educazione e l’informazione, l’etichettatura, tasse sul cibo, il sostegno economico alla produzione di alimenti sani.
Tra i riferimenti proposti gli scienziati citano la dieta Mediterranea nella versione greca: “Sebbene la dieta di riferimento, si basi su considerazioni salutari e sia coerente con molti schemi alimentari tradizionali – si legge nel Rapporto – per alcuni individui o popolazioni questa dieta potrebbe sembrare drastica o non fattibile. Tuttavia, da una prospettiva globale le caratteristiche di questa dieta, che potrebbero includere rigide diete vegetariane e il consumo di modeste quantità di cibi di origine animale, hanno tradizioni consolidate in varie regioni. L’esempio più studiato è la dieta mediterranea, quale la dieta di Creta nella metà del XX secolo. Questa dieta era povera di carne rossa (l’assunzione media di carne rossa e pollame era 35gr/ giorno) e in gran parte a base vegetale, ma aveva elevate assunzioni di grassi totali (circa il 40% di apporto calorico) derivante principalmente da olio d’oliva. Allora i greci avevano una più lunga aspettativa di vita”.
Fonte: https://www.regionieambiente.it/eat-lancet_planetary_diet_antropocene/