Bottiglie, sacchetti, cassette di polistirolo sono l’80% dei rifiuti spiaggiati. Sono in media 777 rifiuti ogni cento metri di spiaggia. Mentre sulla superficie del mare si trovano 179 mila particelle di microplastica per km quadrato, segno evidente di quanto sia stato trascurato l’ambiente marino negli anni passati. È la plastica il nemico numero uno dei mari italiani: questo quanto emerge dai primi dati raccolti dal Ministero dell’Ambiente in collaborazione con Ispra e le Arpa costiere sullo stato complessivo dei mari italiani, presentato in apertura di Slow Fish, evento biennale di Slow Food dedicato ai mari e alla pesca, in corso a Genova fino a domenica.
I dati sono il risultato dell’analisi fatta dal 2015 al 2017. Un altro ciclo di analisi si farà più avanti. Il monitoraggio rientra nelle misure da mettere in atto dopo il recepimento della Direttiva quadro 2008/56/CE sulla strategia per l’ambiente marino, che pone come obiettivo agli Stati membri di raggiungere entro il 2020 il buono stato ambientale (GES, “Good Environmental Status”) per le proprie acque marine.
Due i grandi temi che emergono: la diffusione delle specie aliene nei mari italiani, provenienti soprattutto dal Mar Rosso, e il problema dei rifiuti, fra i quali la plastica è quello preponderante. Al 2018 sono state calcolate 263 specie non indigene nelle acque italiane, di cui il 68% ha stabilito popolazioni stabili lungo le nostre coste. “Questo dato ci dice che la bioinvasione nel Mediterraneo è in costante aumento e, per quanto riguarda le specie provenienti dal Mar Rosso, il cambiamento climatico ha avuto un effetto determinante, sia attraverso la modifica delle correnti, che hanno consentito l’arrivo di queste specie dai mari orientali, sia rendendo l’ambiente più favorevole a specie tropicali – dice Franco Andaloro, esponente del Comitato scientifico di Slow Fish – Quindi se da un lato si riducono le specie introdotte volontariamente dall’uomo con l’acquacoltura, dall’altro aumenta la migrazione di quelle che arrivano attraverso il canale di Suez. La conservazione dell’ambiente è essenziale in quanto si è evidenziato che le specie aliene sono meno presenti in ambienti sani e protetti”.
La plastica è la protagonista, in negativo, della grande quantità di rifiuti marini trovati. Plastica spiaggiata, microplastica in mare e plastica ingerita dalle tartarughe, perché su 150 esemplari di tartarughe Caretta caretta spiaggiate è emerso che il 68% presentava plastica ingerita. Si conta una media di 777 rifiuti spiaggiati ogni cento metri lineari di spiaggia.
Spiega Silvio Greco, presidente del Comitato scientifico di Slow Fish: “La plastica – incluse bottiglie, sacchetti, cassette in polistirolo, lenze da pesca in nylon – emerge come il materiale più abbondante con una percentuale dell’80%”.
“Significativa soprattutto la densità dei microrifiuti plastici inferiori ai 5 mm ritrovati sulla superficie marina, che è di 179.023 particelle per km quadrato – dice Greco – Questo ci fa riflettere soprattutto sull’incuria che abbiamo avuto nei confronti del mare in passato, perché queste particelle sono il risultato della frammentazione di tutto ciò che abbiamo gettato indiscriminatamente pensando che il mare fosse la nostra discarica naturale”. I tempi di degradazione in mare per le bottiglie di plastica sono stimati in 500-1000 anni, mentre si passa a 20-30 per i bastoncini cotonati e a 10-20 anni per le buste di plastica. “Diversamente da quanto atteso, l’80% dei rifiuti plastici spiaggiati censiti nelle spiagge risulta derivare dai fiumi, mentre il 20% è scaricato direttamente in mare. Dato, questo, che dovrebbe farci riflettere in merito al fatto che la cura dei mari comincia dai nostri comportamenti a terra”, conclude Greco.
Fonte: http://www.helpconsumatori.it/ambiente/slow-fish-plastica-primo-nemico-del-mare/179625