Il “Committee on World Food Security” (CFS) si riunisce in questi giorni a Roma per valutare come “accelerare i progressi per il raggiungimento del secondo obiettivo di sviluppo sostenibile, cioè “Porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un’agricoltura sostenibile”. Già nel documento di presentazione della riunione del CFS viene ricordato che dal 2015 ad oggi il numero di persone in una condizione di insicurezza alimentare continua ad aumentare. Più di 820 milioni di persone non dispongono di sufficienti risorse alimentari. Questo numero sale a un miliardo e trecentomila considerando le persone che periodicamente sono soggette ad insicurezza alimentare di moderata entità.
Le cause dell’insicurezza alimentare sono molteplici e complesse, ma lavorando a fianco dei piccoli produttori agricoli in molti paesi, compresa l’Italia ci rendiamo conto sempre di più le cause non sono “strutturali”, endogene né tantomeno casuali. L’insicurezza alimentare non è soltanto il frutto di fattori ambientali o dell’adozione di pratiche agricole inefficienti, ma è anche il risultato di ingiustizie, di diritti negati, della non curanza di multinazionali che utilizzano il loro potere per promuovere la diffusione di sementi e input produttivi che comportano svantaggi e rischi sanitari per i produttori e i consumatori e con scarse evidenze di aumenti produttivi sostenibili nel tempo. Ad esempio il governo Sudafricano ha da poco espresso parere negativo all’introduzione nel paese del mais transgenico della Monsanto “MON 87460 x MON 89034 x NK 603” perché test effettuati non hanno provato nessuna differenza statisticamente significativa in termini di produttività rispetto alle varietà non OGM già coltivate nel paese.
Non sempre però gli stati operano da garanti dell’interesse degli agricoltori e dei consumatori. In eSwatini, ad esempio, lavoriamo nella regione di Lubombo, quella più colpita dagli effetti del cambiamento climatico. Assistiamo agli effetti di anni siccitosi che si susseguono quasi ininterrotti dal 2014 mentre circa il 97% dell’acqua per uso agricolo è destinato alla produzione di canna da zucchero, mercato in cui operano in regime quasi monopolistico i pochi zuccherifici del paese. Nello stesso Paese da circa un anno è stata autorizzata la coltivazione del cotone BT, una varietà di cotone OGM brevettato sempre dalla Monsanto. Nessuno dei piccoli produttori è stato informato del fatto che il cotone OGM della Monsanto ha causato perdite economiche stimabili in 85 milioni di dollari ai produttori del Burkina Faso. Per inciso la Bayer, proprietaria della Monsanto, ha delle entrate annuali che sono quasi dieci volte superiori al prodotto interno lordo dell’eSwatini. Sempre in eSwatini, un’agenzia nazionale sta promuovendo tra i piccoli produttori un modello di “climate smart agriculture” che prevede un massiccio uso di erbicidi e fertilizzanti chimici per produrre mais in regime di agricoltura pluviale. Anche in questo caso oltre ai danni ambientali e l’impatto sulla salute di produttori e consumatori, si attendono serie ripercussioni di cui faranno le spese i piccoli produttori in termini economici e di sicurezza alimentare. I produttori recupererebbero i costi di erbicidi, fertilizzanti e lavorazioni del suolo soltanto producendo almeno quadro tonnellate di mais ad ettaro. Il guadagno arriverà dal surplus prodotto oltre la quarta tonnellata, cosa che difficilmente accadrà considerando che la produttività media della zona è inferiore ad una tonnellata ad ettaro e che il principale fattore limitante è l’acqua.
La situazione dell’eSwatini non è un caso isolato, sia per quanto riguarda una maggiore frequenza di annate siccitose sia per quanto riguarda la tipologia di soluzioni proposte. Le soluzioni non sono semplici e nessuna organizzazione, agenzia o ministero al mondo detiene una formula magica. Però le evidenze scientifiche della ricerca agroecologica, le esperienze di campo e i confronti con i piccoli produttori forniscono una evidenza forte del fatto che la sicurezza alimentare non si ottiene “industrializzando” l’agricoltura di piccola scala. Anche perché l’agricoltura industriale è molto meno efficiente di quella familiare nel produrre cibo. Le perdite e le inefficienze del sistema agricolo industriale sono enormi, così come gli impatti ambientali e sociali. Si tratta di inefficienze che non possiamo più permetterci nemmeno dal punto di vista di impronta del carbonio e di impatto sulla biodiversità.
L'”High Level Panel of Experts on Food Security and Nutrition” del “”Committee on World Food Security” ha da poco diffuso i risultati di un lavoro di ricerca e approfondimento a cui ha preso parte la società civile sugli approcci agroecologici per migliorare la sicurezza alimentare e la nutrizione. L’augurio per questa quarantesima Giornata Mondiale dell’Alimentazione è che sempre di più le evidenze sull’efficacia dell’approccio agroecologico e il rispetto dei diritti fondamentali dei piccoli produttori agricoli del mondo possano orientare le scelte politiche nazionali ed internazionali.
Fonte: http://www.greenreport.it/news/agricoltura/giornata-mondiale-dellalimentazione-linganno-degli-ogm-e-dei-fertilizzanti-chimici-nei-paesi-in-via-di-sviluppo/