La desertificazione, una forma di degrado del suolo che viene misurata monitorando la copertura vegetale e la produttività del suolo stesso, è una minaccia in forte crescita: ne è colpito il 29% del territorio globale, dove abitano oltre 3 miliardi di persone, mentre ampie fette del nostro Paese rientrano già nella casistica. Altre lo faranno presto.
Già oggi, spiegano dal Snpa, in Italia «il 10% del territorio è molto vulnerabile. La Sicilia è la regione più colpita (42,9% della superficie regionale), seguita da Molise, Basilicata (24,4%) e dalla Sardegna (19,1%)».
L’avanzata della desertificazione non è facile da misurare e i dati cambiano tra le varie fonti consultate, ma già a inizio 2018 la Corte dei conti europea – che alla fine dello stesso anno ha prodotto una relazione bocciando come incoerenti le misure intraprese fino a quel momento per frenare il fenomeno – poneva il nostro Paese tra quelli a maggior rischio in Europa: «L’erosione del suolo, unita alla carenza d’acqua e alle temperature più elevate che aumentano l’evaporazione, aggrava ulteriormente il rischio di desertificazione. La situazione è particolarmente grave in una vasta area della Spagna, nel Sud del Portogallo e dell’Italia, nella Grecia sud-orientale, a Cipro e in alcune regioni della Bulgaria e della Romania che si affacciano sul Mar Nero. La ricerca indica che le aree ad alto rischio di erosione interessano fino al 44 % del territorio della Spagna, il 33% del Portogallo e quasi il 20% della Grecia e dell’Italia. A Cipro, stando al programma nazionale per combattere la desertificazione, la situazione del 57% del territorio è, dal punto di vista di tale rischio, critica».
Da allora la situazione non è migliorata. Solo pochi giorni fa i Consorzi di bonifica riuniti nell’Anbi, citando dati Cnr, ricordavano che «in Italia ci sono aree in cui, a causa dei cambiamenti climatici e di pratiche agronomiche forzate, la percentuale di sostanza organica, contenuta nel terreno, è scesa al 2%, soglia per la quale si può iniziare a parlare di deserto; secondo il C.N.R. (Consiglio Nazionale delle Ricerche), le aree a rischio sono il 70% in Sicilia, il 58% in Molise, il 57% in Puglia, il 55% in Basilicata, mentre in Sardegna, Marche, Emilia Romagna, Umbria, Abruzzo e Campania sono comprese tra il 30 e il 50%», dati che indicano che «il 20% del territorio italiano in pericolo di desertificazione».
Eppure i cittadini italiani, nel complesso, non lo sanno e/o non lo ritengono un problema grave, come evidenzia l’indagine Ipsos condotta per Finish a dicembre 2019 su un campione rappresentativo di 1000 famiglia e resa nota oggi per la Giornata mondiale contro la desertificazione: solo il 10% degli intervistati, guardando all’oggi, ha espresso preoccupazione per la desertificazione, percentuale che sale al 19% guardando al futuro. Il problema è che se non verranno messe in campo da subito decise azioni di contrasto, il futuro rappresenterà un grosso problema.
Quali le cause di questo fenomeno globale? «Come sempre nelle questioni ambientali – sottolineano dal Snpa – non c’è un solo colpevole, ma una serie di cause. I cambiamenti climatici hanno modificato le precipitazioni, aumentato la temperatura e gli episodi di siccità, con conseguente disponibilità insufficiente di acqua per il suolo, per la vegetazione e per le attività produttive (agricoltura in primis). C’è poi una gestione poco attenta delle risorse naturali, dell’acqua, del suolo e della vegetazione. Il suolo viene consumato eccessivamente e si usano pratiche agricole dannose».
Problemi che riguardano da vicino anche il nostro Paese, dove vengono sprecati ogni anno 4,5 miliardi di metri cubi di acqua potabile solo a causa di una rete idrica colabrodo. Per recuperare il terreno perso occorrono una politica industriale adeguata e ingenti investimenti: si parla di 7,2 miliardi di euro secondo i dati Utilitalia, la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche, e da qualche anno ormai gli investimenti nel servizio idrico nazionale sono finalmente in crescita. Ma è chiaro che è necessario fare di più, su tutti i fronti – il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, ad esempio, continua ad essere fermo in versione bozza dal 2017 – anche attraverso una maggiore sensibilizzazione della popolazione al problema e alle soluzioni disponibili.
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