Seguendo le orme dell’Europa, anche l’Italia sta portando avanti una strategia per alimentare la transizione ecologica (anche) con l’idrogeno: un percorso di respiro ancora molto lungo, ma sul quale si sta innestando un ampio dibattito pubblico. Una preziosa occasione di confronto è arrivata oggi dall’evento del Sole 24 Ore “La strategia sull’idrogeno e la transizione energetica. Prospettive e opportunità per un’Italia green”, cui ha partecipato anche il ministro Roberto Cingolani.
«L’idrogeno è degno di grande attenzione, c’è un trend internazionale da cui non ci possiamo tagliare fuori – dichiara il ministro della Transizione ecologica – In questo momento costa troppo, ma dobbiamo creare le condizioni perché questo diventi il vettore principale. La transizione ci deve portare nel più breve tempo possibile a usare l’idrogeno a un prezzo congruo, questo vale per i trasporti ma anche per i settori energivori».
Sui principali settori dove l’idrogeno potrà trovare le applicazioni più proficue, come sulle fonti da cui ricavare idrogeno – che è solo un vettore energetico – le opinioni emerse nel corso del talk non sono però unanimi.
Per capirne di più è importante un focus sull’attuale sviluppo della tecnologia: secondo l’Irena, l’idrogeno verde – ovvero quello prodotto da fonti rinnovabili – potrebbe diventare competitivo in termini di costi. Ad oggi però l’idrogeno verde è 2-3 volte più costoso dell’idrogeno blu, ovvero quello prodotto a partire da combustibili fossili ma in combinazione con la discussa tecnologia carbon capture and storage (Ccs), che gli ambientalisti non vedono di buon occhio.
L’Ue nel mentre ha già adottato una strategia sull’idrogeno, proponendo una strategia di progressiva implementazione che parta dall’immediato per arrivare ad un orizzonte – tra il 2030 e il 2050 – in cui le tecnologie che utilizzano l’idrogeno rinnovabile dovrebbero raggiungere la maturità ed essere implementate su larga scala in tutti i settori che sono difficili da decarbonizzare: in primis l’industria, ma anche trasporti e costruzioni. L’Italia si è già inserita in questo percorso, partecipando al Progetto di comune interesse europeo (Ipcei) sull’idrogeno, ma non mancano i ritardi da recuperare. Per andare dove?
Il ceo di Enel, Francesco Starace, osserva che «per produrre 1 kg di idrogeno dalle rinnovabili servono 50 kWh: l’utilizzo migliore dell’idrogeno è quello che tiene conto del suo alto contenuto energetico. All’inizio deve essere usato per chimica, fertilizzanti, cemento e per la decarbonizzazione dell’acciaio. Sarebbe una sciocchezza invece produrre dall’elettricità idrogeno e poi ancora una volta elettricità così come usarlo per il riscaldamento. Creare gas arricchito di idrogeno è un altro discorso ma non è la soluzione alla transizione energetica».
Diverso il punto di vista portato dal ceo di Eni, Claudio Descalzi, che al 2050 pronostica che quasi la metà dell’idrogeno prodotto arriverà ancora dai fossili: «L’idrogeno è un vettore energetico che può dare grosse soluzioni al campo industriale e alla mobilità. Noi possiamo parlare di idrogeno perché lo produciamo, lo utilizziamo e lo usiamo anche nel sistema elettrico. Se guardiamo al 2050 vediamo che ci sarà una quadruplicazione della produzione di idrogeno. Il 43% sarà idrogeno blu e il 48% sarà verde».
Il ceo di Snam, Marco Alverà, preferisce invece un’ottica internazionale rispolverando il progetto che vede per l’Italia il ruolo di hub europeo dell’energia: prima si parlava di gas, ora di idrogeno. «Abbiamo un vantaggio geografico importante – argomenta Alverà – e un vantaggio infrastrutturale grazie a una rete interconnessa con Algeria, Tunisia, Libia e Medio Oriente attraverso la Grecia. Abbiamo anche un vantaggio tecnologico con aziende di eccellenza. Noi abbiamo investito in De Nora, che è leader mondiale nei componenti per gli elettrolizzatori: tutto questo ci può consentire di sviluppare una partnership con il Nord Africa e diventare un hub di esportazione di idrogeno verso l’Europa».
Per quanto riguarda invece le possibili applicazioni di questo vettore energetico, le auto a idrogeno restano una poco auspicabile chimera, mentre diverso è il discorso – sul fronte della mobilità – per i trasporti pesanti o quelli su ferro.
«Le applicazioni potrebbero essere tante. Auto a idrogeno sono convinto che non ne vedremo, l’elettrico grazie alle soluzioni offerte dalle batterie taglia fuori soluzioni più complesse, il discorso è diverso per track e treni», suggerisce l’ad di A2A Renato Mazzoncini. Sulla stessa linea Andrea Gibelli, presidente di Fnm, che proprio in collaborazione con A2A ed Enel punta a mettere in funzione dal 2023 i primi treni a idrogeno in Val Camonica: «La sfida è ridurre al minimo il periodo di utilizzo dell’idrogeno blu e poi con importanti investimenti arrivare all’idrogeno verde per l’economia circolare. Cioè ricavare idrogeno dall’acqua delle Alpi e dai rifiuti e costruire un sistema che serve al Paese».
Per ricavare idrogeno però, servono appunto impianti alimentati a fonti rinnovabili: il problema non è da poco, perché su questo fronte l’Italia è praticamente ferma dal 2013.
Non a caso per investire i capitali provenienti dal Recovery plan sulla transizione energetica «serve una catena di procedure rapida», secondo il ministro Cingolani, e per questo in parallelo con il Pnrr il Governo sta studiando un’azione decisa «sulla semplificazione e sulla catena dei permessi», in cui l’intero processo è molto lungo e complesso, sottolineando che nell’installazione degli impianti rinnovabili negli ultimi anni, a fronte di una programmazione di un certo tipo, a consuntivo si arrivava al 10% del programmato: «Così non si può andare avanti, anche perché con il Recovery plan si va avanti con saldi di avanzamento lavori, non riuscire a sfruttare questi capitali sarebbe una doppia sconfitta».
Fonte: https://www.greenreport.it/news/economia-ecologica/quale-idrogeno-per-litalia-le-idee-del-ministro-cingolani-e-delle-grandi-partecipate-italiane/