In profondità, sotto l’Italia meridionale, esistono serbatoi che liberano anidride carbonica a causa del movimento della placca ionica. È ciò che ha scoperto un team di geologi delle Università di Firenze e di Colonia e dell’Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria del CNR osservando che l’Etna emette il 10% (9.000 tonnellate al giorno) di tutta la CO2 di origine vulcanica. Una quantità di molto superiore a quella di altri vulcani attivi: tre volte quella del Kilauea delle Hawaii, nonostante quest’ultimo erutti quattro volte più magma.
Per ricostruire i processi alla base di questo fenomeno, lo studio, pubblicato sulla rivista Geology, ha indagato il rapporto tra due elementi rari, il Niobio (Nb) e il Tantalio (Ta), generalmente costante nelle rocce vulcaniche e modificato solo in pochi processi geologici.
Come spiega Alessandro Bragagni, dell’Ateneo fiorentino, primo firmatario dell’articolo: «Abbiamo analizzato in particolare la composizione della lava dell’Etna e del Vulture, vulcano inattivo da tempo, perché il magma durante la sua risalita “registra” quel che succede nel mantello terrestre e fornisce informazioni sui processi geodinamici in atto e su quelli remoti. Grazie a strumenti ad altissima precisione, abbiamo rilevato in entrambi i casi un rapporto Nb/Ta anomalo, che rivela la presenza di porzioni di mantello arricchite in carbonio a circa 50 km di profondità al di sotto dell’Italia meridionale, territorio in cui assetto e geodinamica delle placche favoriscono il rilascio e la risalita di anidride carbonica».
Il nuovo studio, dunque, non solo presenta una metodologia innovativa per capire l’origine dell’anidride carbonica rilasciata dai vulcani, ma offre anche un importante contributo alla comprensione del ruolo dei vulcani nel bilancio generale dell’anidride carbonica di origine naturale e nei cambiamenti climatici del nostro pianeta.
Fonte: https://rivistanatura.com/la-co2-sotto-il-vulcano/