L’Italia ha un consumo di 70-80 miliardi di metri cubi di gas all'anno e 18 miliardi di metri cubi di stoccaggio. La maggior parte del gas naturale impiegato dal nostro Paese viene importato: in particolare, circa il 45% del metano proveniente dall’estero arriva dalla Russia. L’attuale situazione di crisi, causata dalla guerra in Ucraina, rischia di provocare una crisi energetica sul territorio nazionale.
Per far fronte alla possibile emergenza sui rifornimenti di gas, il governo si sta attivando con una serie d’interventi. Una prima risposta verrebbe dall'aumento della produzione nazionale di gas "più gestibile e meno caro", ha detto il premier Mario Draghi. Il decreto della scorsa settimana ha già previsto un incremento di 2,2 miliardi di metri cubi, fino a circa 5 miliardi di metri cubi totali. Nel 2000 la produzione italiana era più di tre volte superiore.
Il gas naturale in Italia arriva anche dall'Algeria, che è cresciuta del 76% nel 2021 fino a poco meno di un terzo dell'import, secondo i dati Mite-Dgisseg , e dall'Azerbaijan attraverso il gasdotto Tap, entrato in funzione proprio dallo scorso anno in Puglia dopo anni di contesa con gli ambientalisti locali.
Un aiuto per affrontare la crisi potrebbe quindi arrivare dal rafforzamento del corridoio Sud e dal massimizzare i flussi dai gasdotti non a pieno regime a partire proprio dal Tap. Lo scorso anno ha pesato per circa 7 miliardi di metri cubi che potrebbero aumentare di 2 o 3 miliardi entro la fine dell’anno.
Più a medio termine c'è il progetto di raddoppiare la capacità del gasdotto fino a 20 miliardi di metri cubi, che non avrebbe bisogno di modifiche infrastrutturali. Il test di mercato si concluderà, in anticipo rispetto alle previsioni, a luglio 2022 poi ci vorrebbero circa 4 anni per la realizzazione
Un altro modo per arginare la crisi viene dall'uso del gas naturale liquefatto (gnl), che viene trattato per essere stoccato e trasportato più facilmente, per esempio dagli Stati Uniti. Il gnl va riportato alla forma gassosa per essere riutilizzato in modo tradizionale. L'Italia ha però una limitata capacità di rigassificazione e solo tre impianti (Panigaglia, Rovigo e Livorno). Draghi ha invitato ad aprire una riflessione su questo mentre Cingolani ha parlato della possibilità di ricorrere anche a terminali galleggianti.
Un'altra possibile linea di azione emergenziale riguarda le centrali a carbone. Al momento sono 5 quelle attive e funzionanti: Fiume Santo e Portoscuso (Sardegna), Brindisi, Torrevaldaliga (Civitavecchia), Fusina (Venezia). Bisogna vedere se e come è possibile riaprirne altre e conciliare questo con la transizione ecologica e l'impegno a chiuderle o trasformarle tutte entro il 2025 come prevede il Pniec - Piano nazionale integrato energia e clima.
Intanto l'Italia preme a Bruxelles per meccanismi di stoccaggio comune del gas che aiutino il Paese a fronteggiare riduzioni temporanee delle forniture. In pratica, l’esecutivo italiano, da un lato prevede un nuovo intervento sul caro-energia, dall'altro piani di emergenza per affrontare una crisi energetica che arrivano fino alla riapertura delle centrali a carbone, a nuovi rigassificatori e a un aumento della produzione di gas nazionale
Per adesso, il gas russo sta continuando ad arrivare in Europa ma la situazione potrebbe cambiare da un momento all'altro. Già a gennaio l'energia ha fatto ballare la bilancia commerciale italiana. L'Istat, nei dati sugli scambi con i Paesi extra europei, ha registrato un deficit di -4,1 miliardi nel primo mese dell'anno. A gennaio 2021 l'Italia aveva un surplus di 1,7 miliardi.
In sintesi, le misure eccezionali a cui fa riferimento Mario Draghi prevedono una maggiore flessibilità dei consumi di gas, sospensioni nel settore industriale, regole per il termoelettrico, l'aumento delle forniture alternative con l'incremento del gas naturale liquefatto dagli Usa, portare a pieno carico i gasdotti Tap dall'Azerbaijan, Transmed da Algeria e Tunisia e Greenstream dalla Libia.
La proposta che invece fa discutere è quella sulla riapertura delle centrali a carbone “per colmare eventuali mancanze nell'immediato". Significherebbe fare una momentanea marcia indietro rispetto all'impegno di dismettere o rincovertire tutti questi impianti entro il 2025, come prevede il Pniec - Piano nazionale integrato energia e clima - e gli impegni di Glasgow, volti a ridurre l’inquinamento ambientale.
Draghi ha aggiunto però che "la risposta più valida nel lungo periodo sta nel procedere spediti, come stiamo facendo, nello sviluppo delle fonti rinnovabili". Intanto in questi giorni la centrale di Civitavecchia sta lavorando a pieno regime, come dimostrano le navi carbonifere a largo del porto. E già a dicembre, per un paio di settimane, erano stati riaccesi e poi rispenti gli impianti a carbone a La Spezia di Enel e a Monfalcone che fa capo ad A2a.
Fonte: https://tg24.sky.it/cronaca/2022/02/28/guerra-russia-ucraina-italia-gas-ipotesi#12