In inglese per indicare il primo conflitto mondiale si usa la sigla WW1. Anche chiamata dagli inglesi "Great War", la Grande Guerra o "The War to End All Wars". In futuro, se gli scenari non verranno tenuti sotto controllo attentamente, potremmo assistere alla WWW1 "the world water world 1", la prima guerra mondiale per l'acqua.
Se non lo sapevi, le guerre per l'acqua sono già presenti in tutto il mondo. Si tratta di una serie di conflitti in zone del Pianeta in cui le risorse idriche scarseggiano e le economie precipitano. D'altronde, dove le civiltà nascono vicino ai corsi d'acqua, in mancanza di essi entrano in crisi.
Morale della "favola": i prossimi conflitti a livello macro saranno quelli legati alla disponibilità e all'approvvigionamento d'acqua. Secondo il rapporto dell'Unesco "World Water Development Report 2019 – Leaving No One Behind", la situazione è diventata preoccupante. Nel mondo l'oro blu (l'acqua) provoca più guerre ormai dell'oro nero (il petrolio). Se non lo sapevi infatti, in otto anni (2010-2018) i conflitti per l'acqua sono stati 263 conflitti. India e Pakistan, due potenze nucleari potranno essere le protagoniste di una vera e propria corsa all'acqua.
Stiamo parlando di water grabbing, ovvero il fenomeno per cui i governi o grandi enti privati prendono il controllo di grandi capitali di risorse idriche, sottraendole alle esigenze delle comunità locali. Questa tendenza ha creato nel tempo una serie di conflitti nel mondo, che progressivamente stanno aumentano di numero e che interessano sempre più le grandi nazioni. Il dibattito sta appassionando da anni la comunità scientifica, ma come si arriva a questi conflitti, e come fare per prevenirli?
A questi interrogativi ha provato a rispondere uno studio pubblicato su Nature Sustainability da un gruppo di ricercatori del Politecnico di Milano. Ogni Paese ha una condizione socio-idrogeologica particolare, Questo vuol dire che da Paese a Paese l'approccio verso le risorse idriche cambia a seconda del valore socio-economico come forma di sostentamento per l'agricoltura e l'uso civile.
Spiace dirlo, ma anche su questo tema siamo in ritardo anni luce. Già nel 1995 Ismail Serageldin, ex vicepresidente della Banca Mondiale, affermava che “Se le guerre del XX secolo sono state combattute per il petrolio, quelle del XXI secolo avranno come oggetto l’acqua". La ricerca si basa sull'utilizzo di metodi di analisi statistici e di modellazione idrologica, vengono poi aggiunte informazioni socio-ambientali, culturali e politiche. Il modello di riferimento è quello dei confitti nella regione del Lago Ciad in Africa Centrale. Dall'insurrezione di Boko Haram alla guerra civile in Darfur, fino ai colpi di stato nella Repubblica Centrafricana, l'area è interessata da una serie di conflitti da almeno 20 anni.
Per fare in modo che queste situazioni non accadano più o quanto meno che diminuiscano, bisogna creare misure di disponibilità idrica in grado di dare valore all'utilizzo umano dell'acqua, ovvero: l'acqua deve essere considerata prima di tutto come bene primario e non commerciale. Non deve mai accadere un rovesciamento dei due piani. Grazie a questi dati, messi in relazione ai conflitti nella regione tra il 2000 e il 2015, e a un approccio multi-prospettiva gli autori sono stati in grado di esplorare relazioni più secondarie, indirette e complesse all’interno del nesso acqua-conflitto. Il consiglio da parte dei ricercatori quindi è di procedere secondo le seguenti strategie:
- creazione di misure di disponibilità idrica che tengano conto dell’importanza dell’acqua per il sostentamento umano;
- evitare le semplificazioni eccessive quando si considerano fattori ambientali in analisi sociali.
Francesco Castagna
Fonte: https://www.ohga.it/un-nuovo-studio-italiano-su-nature-aiutera-a-prevedere-le-guerre-dellacqua-incrociando-dati-socio-ambientali/