Per mitigare i rischi di approvvigionamento delle materie prime critiche, e mettere in sicurezza la transizione ecologica e digitale, l’Unione europea deve puntare anche e soprattutto sull’economia circolare. Al 2040, il solo riciclo delle batterie esauste potrebbe soddisfare oltre la metà della domanda di litio (52%) e di cobalto (58%) attivata dalla mobilità elettrica, limitando così la dipendenza dai fornitori esteri. Il rischio, altrimenti, è che le materie prime critiche diventino il gas di domani, chiarisce Cassa Depositi e Prestiti in un brief: per evitare di legare i propri destini a paesi poco affidabili, esponendosi a shock di portata drammatica sotto il profilo economico, sociale e ambientale come nel caso dell’invasione russa dell’Ucraina, l’Ue deve massimizzare il recupero di risorse dalle proprie ‘miniere urbane’, ma anche rafforzare la partnership con fornitori affidabili e investire nel pieno sfruttamento del potenziale minerario interno, sottolinea l’istituto.
Le 30 materie prime critiche censite nel 2020 dall’UE, ricorda CDP, “tali per la loro importanza economica e per il rischio di fornitura ad esse associato”, sono cruciali per il raggiungimento degli obiettivi Ue di neutralità climatica e leadership digitale. Litio e cobalto sono fondamentali per la produzione di batterie, perno del processo di elettrificazione dei consumi energetici, i borati servono all’industria delle materie ceramiche, mentre le famose ‘terre rare’ sono indispensabili per l’intera industria hi-tech. Secondo la Commissione, al 2050 la domanda annua di litio da parte della Ue potrebbe aumentare di 56 volte rispetto ai livelli attuali, quella di cobalto di 15, per le terre rare decuplicherebbe, ma gli Stati membri, ricorda l’istituto, “evidenziano una dipendenza dalle importazioni di materie prime critiche superiore all’80% nonché un ruolo spesso marginale nelle altre fasi delle catene del valore di tali tecnologie”.
Una fragilità che espone l’Unione al rischio di interruzioni delle forniture, tanto più concreto alla luce del delicato quadro geopolitico che caratterizza il mercato globale. Se per alcune materie infatti i produttori sono interni all’Ue o comunque in buoni rapporti diplomatici e commerciali, per tante altre no. Uno scenario frastagliato, nel quale emergono le scelte di posizionamento delle grandi potenze mondiali. Da un lato la Cina, che è diventata negli anni il principale player di mercato (fornisce, ad esempio, oltre il 90% delle ‘terre rare’ importate dall’Ue) e che utilizza “la propria posizione dominante nelle catene di approvvigionamento globali come strumento di politica estera”, scrive Cassa Depositi e Prestiti. Dall’altro gli Stati Uniti, che anche in chiave anti inflattiva stanno spingendo sull’aumento delle estrazioni e sull’incentivazione degli acquisti di prodotti contenenti materie prime raffinate in USA, Canada e Messico. L’Unione, insomma, è chiamata a incrementare la propria “autonomia strategica”. Ma come?
La prima risposta è: puntando sul riciclo. Le materie prime critiche delle quali non disponiamo in natura, infatti, possiamo recuperarle dai prodotti tecnologici che le contengono, una volta che questi siano giunti a fine vita. Un solo smartphone conta ad esempio più di 30 elementi naturali, di cui almeno la metà critici. Già oggi del resto per alcune materie prime, come il tungsteno e i metalli del gruppo del platino, il riciclo riesce già a soddisfare tra il 20% e il 40% della domanda. Per altre come le ‘terre rare’ invece, il contributo è marginale. Solo in Italia dai prodotti tecnologici a fine vita si potrebbero recuperare circa 7mila 600 tonnellate di MPC, pari all’11% delle importazioni dalla Cina nel 2021. Per farlo però occorrerebbe raggiungere il tasso di raccolta dei best performer europei, che viaggia tra il 70 e il 76% mentre l’Italia è ferma al 39%. Ma servirebbero anche gli impianti industriali a tecnologia complessa, che oggi invece mancano e che non a caso il PNRR punta a finanziare con uno stanziamento da 150 milioni di euro.
Ma la circolarità, chiarisce CDP, non basterà da sola a garantire l’autonomia strategica che serve all’Ue. Non a caso nel piano d’azione sulle CRM lanciato dalla Commissione Ue nel 2020 si identificano altri tre filoni d’intervento paralleli: il rafforzamento delle partnership strategiche con paesi come Canada, Ucraina, Kazakistan e Namibia, nuovi investimenti in competenze e tecnologie per migliorare la gestione interna all’Ue del ciclo di vita delle CRM, ma anche un rilancio degli approvvigionamenti interni, che parta dalla nuova mappatura dei giacimenti disponibili. Anche in Italia, dove sono già attivi permessi di ricerca: per cobalto, platino e ‘terre rare’ in Piemonte e Lombardia, ma anche per il litio geotermico tra Lazio, Toscana e Campania. I tempi lunghi per l’attivazione di nuove attività estrattive – nell’ordine di 10-15 anni – non ne fanno tuttavia la priorità assoluta in termini strategici, chiarisce CDP.
Per conoscere nel dettaglio la strategia dell’Ue non resta che attendere l’annunciato ‘Critical Raw Materials Act’, che dovrebbe essere pubblicato nelle prossime settimane e alla cui definizione l’Italia punta a contribuire con il neo insediato tavolo di lavoro nazionale coordinato dai Ministeri dell’Ambiente e delle Imprese, con la Presidenza del Consiglio, il Ministero degli Affari Esteri, l’Istat, ma anche rappresentanti della Commissione europea e di agenzie europee, le associazioni di impresa e i maggiori esperti del settore. “Dovremo investire di più per una migliore gestione degli scarti – ha chiarito il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin puntando alla raccolta, alla selezione, e al recupero delle materie prime contenute nei rifiuti; abbandonare la visione del “rifiuto come problema” e sfruttare appieno il “rifiuto come risorsa”, da usare in modo intelligente, creativa e rigenerativa”.