Il riutilizzo delle acque reflue urbane depurate ha molteplici applicazioni, dal settore agricolo a quello industriale, nei centri urbani e nell’ambiente.
Oltre ad essere utilizzate per l’irrigazione in agricoltura, le acque reflue depurate possono essere riutilizzate nel settore industriale come acqua di raffreddamento, per l’alimentazione di caldaie, come acqua di processo e in edilizia; nelle aree urbane possono essere utilizzate per l’irrigazione di parchi e aree residenziali e per usi ricreativi e ambientali che comprendono anche diverse applicazioni come la ricarica di laghi o stagni e corsi d’acqua; inoltre, ai fini ambientali, l’acqua recuperata può essere riutilizzata anche per la ricarica della falda sotterranea. Chiaramente, ogni ambito di riuso richiede il rispetto dei parametri di qualità e degli standard di riferimento.
Eppure, secondo i dati elaborati dal laboratorio di ricerca Ref, nonostante il perdurare della crisi climatica – con siccità sempre più ricorrenti e pesanti – in Italia le acque reflue potenziali che raggiungono una qualità tale da essere destinate al riutilizzo sono in media il 23% delle acque depurate volume (dati 2020), con punte del 41% al Nord-ovest e valori inferiori al Centro (6%).
Non solo: appena il 4% è infatti destinato al riuso (principalmente per l’irrigazione), quasi esclusivamente nelle regioni settentrionali. Come mai?
Attualmente – come spiega Ref Ricerche – nel nostro Paese il riuso dell’acqua depurata è principalmente finanziato con risorse pubbliche o con sussidi incrociati, in un contesto generale di liberalizzazione dove la mancanza di una struttura condivisa ne scoraggia palesemente lo sviluppo.
In particolare, dal punto di vista economico si è rilevato che la disponibilità per l’uso dell’acqua riutilizzata è fortemente influenzata dalla differenza di prezzo tra acqua dolce e acqua riutilizzata, evidenziando come la prima effettiva causa di limitazione allo sviluppo del riuso è proprio la disponibilità di acqua fresca a basso prezzo.
Cosa fare? Sul piano tariffario, secondo Ref Ricerche, una prima opzione potrebbe consistere nel far rientrare nella tariffa del servizio idrico integrato i costi di investimento (Capex) e di gestione (Opex) degli impianti dedicati alla raffinazione delle acque reflue per il riuso industriale o agricolo , quindi a carico delle utenze domestiche e commerciali (utenze civili).
In ogni caso, è utile notare che l’incentivo ad utilizzarle di più sarebbe possibile solo se il prezzo dell’acqua depurata e raffinata fosse inferiore a quello dell’acqua dolce, in modo tale che la prima si configurasse come sostitutiva della più recente.
“È tempo di creare le condizioni normativo-regolatorie affinché si diffondano le tecnologie di depurazione e raffinazione delle acque reflue e il riutilizzo delle acque diventi finalmente una buona pratica sia in agricoltura che nell’industria”, sottolineano dal laboratorio.
Nel merito, una preziosa opportunità sta arrivando con il nuovo Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio Europeo UE 2020/741, che entrerà in vigore il 26 giugno 2023 definendo per la prima volta i requisiti minimi per l’utilizzo dell’acqua in il settore irriguo di recupero.
Tale documento promuove l’uso sostenibile dell’acqua, come già delineato dalla direttiva quadro sull’acqua (direttiva 2000/60/CE), introducendo una disciplina armonizzata per la gestione e il controllo dei rischi sanitari e ambientali.
Al tempo stesso, dal punto di vista economico, la possibilità di dirottare parte delle risorse del Pnrr da altre voci di spesa, dove le difficoltà di realizzazione degli investimenti sono maggiori, a progetti di adeguamento dei depuratori al fine di sviluppare la riutilizzo delle acque reflue raffinate. Il conclamato stress idrico in Italia (e non solo) potrebbe infatti giustificare una riconversione in tal senso delle linee di intervento all’interno dell’UE, facendo perno sugli obiettivi del Green deal in materia di tutela delle risorse idriche e degli ecosistemi acquatici.
Fonte https://it.italy24.press/local/473491.html