Aumenta di poco l’informazione italiana relativa alla crisi del clima ma, parallelamente, purtroppo, cresce anche il negazionismo climatico. A confermalo è lo studio annuale (sul secondo quadrimestre, in questo caso) di Greenpeace insieme all’Osservatorio di Pavia, istituto specializzato nell’analisi dei media.
In quello che molto probabilmente sarà l’anno più caldo di sempre, il 2023, in cui l’Italia ha sperimentato eventi meteo estremi (dalla siccità fino alle ondate di calore e alle alluvioni, che fra vittime e devastazione hanno sconvolto l’Emilia Romagna, la Toscana e altre Regioni), i media italiani hanno mostrato più attenzione alla questione “surriscaldamento globale” rispetto al passato.
Nel secondo quadrimestre 2023, i principali quotidiani italiani hanno pubblicato “3,3 articoli al giorno in cui si fa almeno un accenno alla crisi climatica, sebbene gli articoli realmente dedicati al problema siano meno della metà”, riporta Greenpeace.
L’analisi prende in considerazione sia i 5 quotidiani più diffusi (Corriere della Sera, la Repubblica, Il Sole 24 Ore, Avvenire, La Stampa) che i telegiornali serali delle reti Rai, Mediaset e La7 e alcuni post dei 20 canali di informazione più seguiti su Instagram. Va detto, però, che ancora una volta manca un’analisi dedicata agli articoli online, oggi tra gli strumenti più in voga tra gli italiani per informarsi, che nella maggior parte dei casi veicolano notizie (soprattutto con canali dedicati alle tematiche ambientali) e danno aggiornamenti riguardo la crisi climatica in corso.
Nonostante l’aumento di informazioni legate al climate change registrato nel secondo semestre dell’anno, la ricerca indica però anche un segnale preoccupante: la crescita del negazionismo e del tentativo di sminuire i rischi del riscaldamento globale, con “il 18% degli articoli che diffonde infatti argomenti apertamente negazionisti o di opposizione agli interventi per contrastare la crisi climatica”.
Uno dei problemi principali, secondo la ricerca, è che troppo spesso i diretti responsabili della crisi del clima, ovvero le principali aziende di combustibili fossili legate alle emissioni climalteranti, non vengono né indicate come responsabili né citate, proprio a causa della “dipendenza economica della stampa italiana dall’industria dei combustibili fossili che è confermata dall’elevato numero di pubblicità di compagnie del gas e del petrolio, dell’automotive, aeree e crocieristiche presenti sui 5 quotidiani esaminati”.
Secondo l’Osservatorio “sul Corriere e su Repubblica si arriva a una media di 6 inserzioni pubblicitarie a settimana, cioè quasi 1 al giorno. L’influenza del mondo economico emerge anche dall’analisi dei soggetti che hanno più voce nel racconto della crisi climatica sui quotidiani: al primo posto si trovano infatti aziende ed esponenti dell’imprenditoria (17,5%), che staccano politici e istituzioni nazionali (13%) e internazionali (12%), tecnici e scienziati (11%), associazioni ambientaliste (7%)”.
Passando ai telegiornali, secondo lo studio “in 4 mesi di trasmissioni, su nessuno dei 7 TG esaminati è mai stato menzionato alcun responsabile della crisi climatica, raccontata come un delitto senza colpevoli”.
Sia sui media cartacei che in Tv, gli eventi estremi sono stati l’argomento più trattato, con oltre la metà delle notizie sul clima. Nei Tg, nelle edizioni di prima serata “il 2,7% delle notizie trasmesse ha fatto almeno un accenno alla crisi climatica, contro l’1,9% del quadrimestre precedente. Il Tg3 e il Tg4 sono i telegiornali che hanno dato più spazio al riscaldamento del Pianeta, con il 3,6% sul totale delle notizie trasmesse, mentre fanalino di coda si è confermato ancora una volta il Tg La7 di Enrico Mentana, con appena l’1,8%” fanno sapere da Greenpeace.
Se poi si osservano le testate d’informazione più diffuse su Instagram, spesso lette dai più giovani, le notizie sulla crisi climatica sono state poco più del 4% sul totale dei post pubblicati.
“Hanno trovato più spazio gli aspetti ambientali (40%) e sociali (19%) rispetto a quelli politici (18%) ed economici (8%). Tra i soggetti citati o intervistati prevalgono di gran lunga gli esperti scientifici (32%), che staccano aziende ed esponenti dell’imprenditoria (11%) e associazioni ambientaliste (11%). Inoltre, a differenza di quanto avviene sui media tradizionali, nel 4% dei post sul clima si parla esplicitamente di responsabili, indicando compagnie petrolifere e altre aziende inquinanti. Nel complesso, hanno dedicato più attenzione alla crisi climatica will_ita (12% sul totale dei post pubblicati), tpi (11%) e laveritaweb (9,5%), mentre chiudono la classifica Corriere (1,0) e Ilfoglio (0,6%)” scrivono dall’Osservatorio.
L’analisi ha poi permesso di stilare una sorta di classifica dei quotidiani (solo per le edizioni cartacee e non online) per quanto riguarda la copertura mediatica sulla crisi climatica. “Raggiunge la piena sufficienza Avvenire (con 6,8 punti su 10), anche grazie alla quasi assenza di pubblicità di aziende inquinanti; punteggi scarsi per Repubblica (5,0) e La Stampa (4,8); decisamente insufficienti il Corriere (4,0) e Il Sole 24 Ore (3,6)” si legge nella ricerca.
Secondo Giancarlo Sturloni, responsabile della comunicazione di Greenpeace Italia, «Se persino davanti alle vittime e ai danni degli eventi estremi, nei palinsesti trovano tanto spazio il negazionismo e l’opposizione alla transizione energetica, è anche perché gran parte dei media italiani sopravvive grazie ai finanziamenti di Eni e delle altre aziende fossili, che della crisi climatica sono i principali responsabili. In Italia non c’è libertà di stampa sul clima e questo è un pericolo per il Pianeta e per le nostre vite».
di Giacomo Talignani
Fonte https://www.lasvolta.it/10379/quotidiani-italiani-il-18-degli-articoli-e-negazionista