Stop europeo al falso ambientalismo

Basta con l'ambientalismo di facciata, il cosiddetto greenwashing. Stop ad ogni dichiarazione ambientale generica sui prodotti, che sia fuorviante per i consumatori e li induca a compiere scelte d'acquisto sbagliate. Una nuova direttiva europea, approvata il 17 gennaio 2024 dall'Europarlamento (593 voti favorevoli, 21 contrari e 14 astensioni), le vieta definitivamente. E lascia spazio solo ai marchi di sostenibilità; ma il loro utilizzo verrà consentito solo se l'assegnazione degli stessi si basa su sistemi di certificazione approvati dalle pubbliche autorità. O creati dalle stesse. E c'è di più. La nuova normativa europea dispone anche che le informazioni sulla garanzia dei prodotti siano più visibili per il consumatore, introduce un nuovo marchio che indichi agli acquirenti quali prodotti sul mercato hanno la garanzia più estesa e aggiunge all'elenco Ue delle pratiche commerciali vietate una serie di strategie di marketing problematiche, perché tese al finto ambientalismo e all'obsolescenza precoce dei beni.

 

 

I nuovi vincoli, però, non saranno da subito cogenti: la direttiva deve ora ricevere il via libera definitivo del Consiglio dell'Unione europea. Poi, gli stati membri dell'Ue avranno due anni di tempo per recepirla nel proprio diritto nazionale. Alla fine, il nuovo dispositivo europeo andrà a integrare il quadro normativo comunitario che si sta disegnando anche con la direttiva sulle asserzioni ambientali (2023/0085), attualmente in discussione nelle commissioni dell'Europarlamento, Provvedimento che stabilirà le condizioni specifiche per l'utilizzo delle singole dichiarazioni ecologiche. Ma andiamo con ordine.

 

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Le nuove regole varate dagli eurodeputati puntano a rendere l'etichettatura dei prodotti più chiara e affidabile, affinché i consumatori facciano scelte d'acquisto consapevoli. Viene così vietato l'uso di indicazioni ambientali generiche come «rispettoso dell'ambiente», «rispettoso degli animali», «verde», «naturale», «biodegradabile», «a impatto climatico zero» o «eco», se non supportate da prove.

 

D'ora in poi, l'uso dei marchi di sostenibilità sarà regolamentato sul mercato Ue, vista la confusione causata dalla loro proliferazione e dal mancato utilizzo di dati comparativi.

 

In futuro nell'Unione saranno autorizzati, come detto, solo marchi di sostenibilità basati su sistemi di certificazione garantiti dalle istituzioni perché approvati o creati da autorità pubbliche.

 

In più, la direttiva vieta anche le dichiarazioni che suggeriscono un impatto sull'ambiente neutro, ridotto o positivo in virtù della partecipazione a sistemi di compensazione delle emissioni (offset in inglese).

 

La durabilità dei prodotti

Altro obiettivo della nuova normativa è far sì che produttori e consumatori siano più attenti alla durata dei beni acquistati. Così, in futuro, le informazioni sulla garanzia dovranno essere più visibili sulle confezioni e verrà creato un nuovo marchio armonizzato per dare più risalto ai prodotti con un periodo di garanzia più esteso.

 

In più, le nuove regole vietano anche le indicazioni infondate sulla durata (ad esempio, dichiarare che una lavatrice durerà per 5.000 cicli di lavaggio, se ciò non è esatto in condizioni normali), gli inviti a sostituire i beni di consumo prima del necessario (spesso accade, ad esempio, con l'inchiostro delle stampanti) e le false dichiarazioni sulla riparabilità di un prodotto.

 

Il testo del provvedimento su www.italiaoggi.it/documenti-italiaoggi

 

Solo il 15,5% degli italiani porta a casa il cibo non consumato durante un pranzo o una cena al ristorante, eppure la quasi totalità dei ristoratori (91,8%) è attrezzata per consentirlo. La percentuale scende all'11,8%, invece, per la categoria vino. Secondo un ristoratore su due, il basso numero di richieste può essere spiegato da un certo imbarazzo del cliente a richiedere di portare via gli avanzi. E dire che tocca ormai la quota significativa del 36% la percentuale della spesa food delle famiglie fuori casa. Ma a pesare ci sono anche la scomodità (19,5%) e l'indifferenza (18,3%) verso tematiche anti-spreco, come reso noto ieri da Fipe-Confcommercio (Federazione italiana pubblici esercizi) e da Comieco (Consorzio nazionale recupero e riciclo degli imballaggi a base cellulosica), durante l'evento intitolato «Spreco alimentare: al ristorante la doggy bag si chiama rimpiattino (versione italiana della doggy bag, ndr)».

 

A livello di dichiarato, almeno, sembra più aperta la posizione dei consumatori favorevoli (per il 74%) alla possibilità di portare a casa il cibo. Anzi, per il 22% si tratta di una variabile importante nella scelta del ristorante.

 

Comunque, Fipe e Comieco hanno rinnovato la collaborazione avviata nel 2019, che oggi va al rilancio con la nuova funzionalità dell'app «Sprecometro», frutto di una partnership tra Fipe e l'Osservatorio Waste Watcher International e utile a misurare lo spreco alimentare al di fuori delle mura domestiche.

 

di Luigi Chiarello

 

Fonte https://www.italiaoggi.it/news/stop-europeo-al-falso-ambientalismo-2623860